"Corpo non è altro che la perturbante stranezza di essere"
Jean-Luc Nancy
L'ossessione e la domanda: il "peso" del corpo.
Un blog che parli di corpo e del suo posto nella nostra società, non è di per sé nulla di originale. I discorsi che affrontano le tematiche legate alla corporeità popolano la rete dipanando i più svariati messaggi: da quelli che hanno a che fare con l'alimentazione a quelli che si intendono di moda, di arte o di sport; dalle indagini socio-antropologiche alle rubriche di consigli; ecc..
Tutto ciò porta alla ribalta ciò che psicologia, sociologia e filosofia ci confermano e cioè che oggi il pensiero sul corpo e le pratiche ad esso correlate sono diventati qualcosa di simile ad un'ossessione. Questo blog nasce allora da un'emergenza di vita. Un'emergenza declinata in domanda, che si interroga su ciò con cui da sempre abitiamo il mondo e su cui si combatte la battaglia dell'identità: il corpo. Esso diviene qui "il prototipo della riflessione" in quanto dato costitutivo dell'esistenza umana, con cui si entra in rapporto con il mondo e con l'altro. Condizione di possibilità e limitazione, luogo d'incontro tra interiorità ed esteriorità, identità e alterità, natura e cultura.
Ora, che cosa vuol dire pensare differente? Rispondere a tale quesito è facile solo in apparenza. Se poi inseriamo "il corpo" davanti al punto interrogativo, le cose si complicano ulteriormente.
Corporeità e società tra pesare e pensare.
Ogni domanda, difficile o facile che sia, cela in sé un seme da cui possono germogliare nuove articolazioni di senso. Ciò che conta allora non è tanto la risposta a cui si giunge, ma la modalità del porsi la domanda, laddove essa può essere riscattata da pensieri standardizzati, acritici e automatizzati che anestetizzano la coscienza. Pensare differente vuol dire allora sottrarre potenza alle logiche dell'omologazione, al blaterare autoreferenziale, ai vaniloqui retorici e alle dinamiche coatte dell'apparire imperanti nella nostra società, dove l'identità viene tutta giocata nella sfera pubblica e dove il corpo esibito diventa unica espressione profonda del sé. Qui la corporeità esasperata diventa in realtà chiusura, contenitore di cui solo la facciata viene esposta in tutte quelle forme di spettacolarizzazione e mercificazione del corpo cui oggi assistiamo. Gli inganni che ne derivano sono molteplici. Tali modelli vengono infatti spesso decantati come forme di rivendicazione di soggettività che eccedono i limiti, libere dalle catene dei falsi pudori e della vergogna e quindi in grado di auto-affermarsi come identità al di là di ogni canone imposto dalla società cui appartengono. Ma a ben guardare, tutto ciò ha poco a che fare con l'autentica ostensione dell'essere, della sua ultima intimità, di cui il corpo è elemento costitutivo. Viviamo in una società in cui le infinite possibilità da cui siamo continuamente bombardati sono partorite dalle logiche omologanti del consumismo e del mercato, rendendoci vittime di una libertà che è in realtà illusoria. Finché il sistema funziona, finché il conto non va in rosso, finché si è connessi alla rete e i fianchi entrano nella taglia quaranta, tutto va bene. Ma per quanto ben lubrificato dalla razionalità standardizzante di messaggi indotti, il montaggio di ingranaggi può incepparsi. Allora la vita ci interpella con le sue domande incessanti, ci presenta il conto e ci apre le porte del disagio e dell'angoscia. Disagio e angoscia ai quali la società non dà modo di far fronte in maniera autentica, perché all'interno di un meccanismo in cui scelte apparentemente libere sono in realtà indotte, ogni atto nasce mutilato nella sua volontà. Inoltre, l'assillante emergere di aspettative sempre nuove, di criteri di efficienza sempre più ottusi, per cui ci si affanna ad anticipare il futuro laddove si vive paradossalmente in uno stato continuo di precarietà, produce un sentimento di inadeguatezza che si ripercuote a livello individuale. Qui, il corpo appare come l'unica superficie concreta, stabile, tangibile su cui è possibile tatuare la propria identità. Ecco allora che esso viene stravolto, modellato, ferito, pompato e denutrito nel tentativo di sostanziare il proprio agire soggettivo nel mondo. Si pensi alla diffusione di tutte quelle pratiche corporee, definite dalla psicologia "sostegni identitari", che rivelano la punta dell'iceberg di comportamenti che, declinati in molteplici varianti, finiscono col dar luogo a condotte patologiche. Riflettere sul diffondersi di tali condotte, primi fra tutti i Disturbi del Comportamento Alimentare, espande il livello di interrogazione alla capacità di chiunque di costruire la propria visione del mondo, all'interno del rapporto con il proprio corpo e rispondendo e reagendo alle influenze del mondo esterno.
Al tempo stesso, se l'identità dell'individuo si costruisce, si ancora e si espone al mondo attraverso una corporeità che è appunto individuata, essa deve fare i conti con il fatto il corpo pone alla mente tutta una serie di ostacoli, che potremmo riassumere in quella che la filosofia chiama "esperienza del limite". Il corpo ha una misura e un peso che possono variare. Esso cresce ed invecchia, è corruttibile, soggetto al trascorrere del tempo, alla malattia e alle necessità biologiche. Filosofia e letteratura ci insegnano come nelle esperienze della crescita e della malattia, il corpo con i suoi mutamenti lenti o repentini ci fa sperimentare una continua estraneità a noi stessi. Condizione di possibilità di tutto ciò che è realizzabile, l'essere corpo si oppone tanto alle dissezioni del bisturi quanto alle tematizzazioni del pensiero, facendo diventare un cuore, una distesa di pelle, un dito qualcosa che aggancia l'io a tutto il corpo.
Pe(n)sare differente.
"Pe(n)sa Differente" vuole essere uno spazio che riguardi la corporeità in tutta la sua molteplicità di declinazioni. La riflessione che ci ha condotto fin qui ce ne fa sentire l'importanza. È doverosa tuttavia una precisazione. Con l'avverbio "differente" non si intende rilanciare il paradosso di un apparire alternativo, che propone ulteriori modelli preconfezionati ad hoc o stili di vita programmati, i quali comunque porterebbero in sé (rovesciati) usi e costumi partoriti da un'omogeneizzazione coatta. Ciò che si vuole accogliere è l'invito kantiano ad avere il coraggio di servirsi del proprio intelletto, prendendo coscienza del mondo in cui abitiamo, individuando le falle nel sistema e facendoci carico in modo autonomo dei processi di costruzione della nostra identità.
Questo blog si presenta pertanto come una sorta di "comunità di ricerca" online, dove i pensieri che "prenderanno corpo" saranno occasione di riflessione e di confronto. Un esercizio al pensare criticamente che parta dalla corporeità e dagli svariati universi in cui essa si declina. Uno strumento di sensibilizzazione ai disagi riguardanti il corpo e alle patologie che si connettono al rapporto con esso. Una possibilità di renderci più consapevoli del corpo che ci è proprio e delle sue potenzialità espressive. Ma soprattutto un modo per celebrare la nostra identità personale e irripetibile: un tutt'uno di corpo, emozione e pensiero.
Illustrazione realizzata durante il laboratorio 'Carte d'identità'
realizzato da Francesco Maggiore di Big Sur con un gruppo di studenti dell'Istituto d'Istruzione Professionale A. De Pace di Lecce
www.tipigrafici.altervista.org