I media, in particolare i new media, in quanto psicotecnologie penetrano nell'intimo tessuto umano dell'inconscio. Lo sguardo, la vista, in definitiva, l'occhio non recepisce la totalità della realtà che ci circonda, ma solo singole porzioni di spazio che il cervello ricostruisce nella sua totalità. Lo sguardo pubblicitario-televisivo in quanto linguaggio improntato su tale scomposizione penetra nel tessuto inconscio. La metropoli di Walter Benjamin lancia segnali di frammentazione spazio-visuale della realtà da noi recepita. Il traffico, le insegne, i semafori, la folla, segnali di pericolo, di avvertimento, frammentano la visione del viaggiatore non più "flaneur baudelairiano", che non ha più il tempo di guardarsi attorno e lasciarsi scorrere come corso d'acqua tra la folla. È scomparsa la metropoli fluviale di Baudelaire. L'immagine pubblicitaria resta e penetra come fuochi e tamburi battenti pulsano ancora da un tempo dimenticato. Tradizioni lunghe millenni pongono il corpo in una condizione secondaria, anteponendo l'anima alla carne.
Tutto ciò che è essere è, immutabile, imperituro, la verità rotonda, circolare; la sfera eckhartiana, l'inifinitezza al proprio interno. Il nulla orientale da accogliere al proprio interno, non piegarsi al corpo. La Hybris greca, il destino come contesto di colpevolezza che vive, il diritto come condanna alla colpa dalla quale emergere nella costanza nietzschana e infrangere la superiorità degli Dei. La mortifiazione cristiana, la "malsanìa" di Iacopone da Todi, sono solo alcune delle condizioni che pongono il primato dell'anima sul corpo. Tradizioni lunghe millenni.
Il dandismo e l'estetismo, il 1800, la forma esteriore, il culto della bellezza, dell'eleganza, il tutto legato all'esteriorizzazione del e nel linguaggio. Snodo forse cruciale è dato dalla comparsa dei new media, dalle psicotecnologie che replicano in sé le condizioni di tutti i media precedenti. La televisione come momento estetizzante, o "esteriorizzazione del pensiero" (D. De Kerckhove) all'infuori di me è un primo passo che trascina il pensiero - inteso nell'interazionismo sociale di G. Mead come condizione riflessiva che replica nell'individuo l'interazione con l'altro - nell'ottica della comunicazione pubblicitaria frammentaria, invadente e contraddittoria, che da un lato propone il culto del valore estetizzante del corpo come valore massimo al quale ambire, dall'altro scatena un bombardamento sensoriale improntato sulla sovrapposizione di una costante proposta di cibo. Il sociale contemporaneo si annida nella proposta di una comunicazione conflittuale, disturbare per curare, facendo leva sul rapporto individuo-mondo che ha ambiti di reciprocità nei sé soggettivi interpretabili dal sociale e influenzabili dalle leve del linguaggio. La generazione del conflitto da curare, nell'ambito di una comunicazione improntata al fine economico, pone l'uomo in un rapporto di estraneità e non accettazione col corpo, venendo meno il principio del corpo husserliano come punto nullo dal quale partire per il riconoscimento dell'altro; quando il corpo sta bene siamo integrati con esso, quasi non percependolo, viceversa, diventa altro da noi, limite, sbaglio, diversità da scartare perché fuori dai canoni. Il rapporto col corpo, riflessivo, è mediato da regole culturali in un contesto di comunicazione conflittuale oggettivata nel fine economico da chi detiene il controllo dei flussi comunicativi e da chi in essi immette capitali. Il contesto culturale dell'immagine perfetta pone il corpo in una relazione di valore sociale di non riconoscimento, di non accoglienza, il sé entra in conflitto nella oggettivazione del soggetto in ciò che gli altri vedono di lui - fuori dal canone - simbolicamente mediata da interazioni stereotipate da comunicazione conflittuale che svincolano dal reale riconoscimento dell'ànthropos.